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Briguglia e l’animale politico.
Agostino, Aristotele e altri mostri medievali

di Niccolò Bonetti

23 febbraio 2017


Nel breve ma interessante testo, L’animale politico. Agostino, Aristotele e altri mostri medievali (Salerno Editrice, Roma, 2015), Gianluca Briguglia* si chiede se davvero l’uomo per la tradizione medievale sia da ritenere l’animale politico di cui parla Aristotele o piuttosto, dopo la caduta dal paradiso terrestre, non vada considerato agostinianamente un essere violento e antisociale. È insomma più corrispondente alla realtà l’ottimismo di Aristotele o il freddo realismo di Agostino? Accanto a questa domanda nel testo ne trovano spazio altre: come classificare gli esseri che non si possono definire con chiarezza uomini come i pigmei? Quale ruolo ha avuto l’eloquenza nella nascita della comunità politica? Com’era l’umanità prima della caduta? Com’è avvenuta l’uscita dello stato di natura?

In questo quadro numerose questioni assumono la funzione euristica di esperimenti mentali che mettono alla prova le concezioni politiche consolidate, analogamente a quello che avviene nel campo fisico dove i filosofi trecenteschi riflettono su un mondo puramente ipotetico in cui non avrebbero valore le norme della fisica aristotelica. È il caso degli esseri dalla natura ambigua, che sfidano come provocazioni la natura stessa della comunità politica e mettono in evidenza limiti e ambivalenze dell’umanità nella sua forma associata.

La stessa categoria di uomo come animale politico per un autore come Pietro d’Alvernia non sembra potersi applicare a soggetti “subumani” come i selvaggi e a soggetti “sovrumani” come gli eremiti (e Petrarca aggiungerà i poeti). Anche l’attuale natura umana, ferita dal peccato originale, solleva questioni sulle caratteristiche dell’umanità non decaduta: che ne sarebbe stato della società e della politica se l’umanità non fosse caduta dalla condizione edenica? E che ne sarebbe stato della diseguaglianza fra gli uomini? E della proprietà? Essa è un dato naturale o un frutto della caduta?

E qual è il ruolo della persuasione nella costruzione della comunità e del diritto? Secondo il mito tratteggiato dal Cicerone del De Inventione, un uomo sapiente e saggio avrebbe fatto uscire l’uomo dallo stato selvaggio grazie alla sua eloquenza creando così la vita associata e la legge. Questa narrazione mitica è discussa in molti autori medievali. Ad esempio per un autore come Boncompagno da Signa quella di Cicerone è solo una favola poiché in realtà il diritto nascerebbe dalle contese mentre Brunetto Latini difende la posizione ciceroniana.

Un’altra figura su cui Briguglia si sofferma perché complica il quadro ottimistico dell’uomo come animale naturalmente politico è la figura del gigante Nembrot, un personaggio citato nel Genesi, che diventa sinonimo, in molti autori medievali (fra cui lo stesso Dante nella Commedia), da una parte di civilizzazione ma dall’altra di violenza e tirannia.

Briguglia si concentra poi su quelle strane e mostruose creature che affollano l’immaginario medioevale come i pigmei: ammesso che esistano davvero e non siano frutto di fantasie leggendarie, sono essi esseri umani? Sono dotati di linguaggio? Posseggono razionalità? Hanno una dimensione politica?

Infine il saggio si chiude con il mito di Cerere: da una parte, per Boccaccio, essa, intesa come figura storica e non divina, essendo la madre dell’agricoltura e della stessa civiltà, è la responsabile della creazione di nuovi bisogni e quindi di conflitti, dall’altra, per la “femminista” Christine de Pizan, essa deve inclusa fra le grandi figure di donne (diffamate da uomini come Boccaccio) che hanno arrecato grandi benefici all’umanità.

Il testo di Briguglia, sia pure nella sua brevità, è uno scrigno di episodi e temi poco conosciuti del pensiero medievale e affascina per la ricchezza degli autori, dei passi citati e delle fonti esplorate. Offre al lettore un ricco spaccato di problematiche che sono, sia pure nella loro distanza temporale, alla base della cultura politica moderna. La riflessione politica medievale appare qui in tutta la sua duplicità e conflittualità, caratteristica estremamente feconda, poiché le consente di non ridursi a facili stereotipi o narrazioni standardizzate. Il Medioevo appare cosi, proprio nella sua stessa arcaica staticità, profondamente inquieto e moderno.


* Gianluca Briguglia è professore di Filosofia medievale e del Rinascimento all’Università di Strasburgo.





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